Stereotipi ed etichette, quanto ci influenzano?
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Padre, donna in carriera, elegante, stressato, anzian*, nobile, timida. Quante etichette e quanti stereotipi ci hanno appiccicato addosso!

Eppure noi non siamo quelle etichette, esse sono solo semplificazioni che mutano nel tempo e sono per forza inaccurate. Molto inaccurate se ci vengono assegnate in modo superficiale.

Giacomo lo ha intuito in modo brillante e ce ne parlerà tra pochissimo.

Prima ve lo presento, Giacomo: ha un progetto molto ambizioso, appiccicarsi addosso l’etichetta di milionario in 10 anni. Ne parla sul suo blog diventeromilionario.it, sul suo canale YouTube e sul suo podcast, dove tiene un diario dei suoi progressi e racconta ciò che ha imparato lungo la strada.

Ha anche scritto un libro: Da dipendente a imprenditore.

Quello che segue, però, lo ha imparato da un’altro progetto, ancora più ambizioso.


Timida

L’altalena va in alto ed il sorriso inizia ad allargarsi mettendo in evidenza i denti da latte candidi come la neve appena caduta.

La spingo e con la punta dei piedi si allunga ancora più in su, per provare a toccare il cielo.

Il meteo però è avverso e nuvole nere si stanno accumulando sopra di noi. “Verrà a piovere a breve”, penso, e non ho un ombrello.

Fermo l’altalena e faccio scendere mia figlia. “Andiamo a casa prima di bagnarci”.

Etichette e stereotipi - Altalena bagnata in un parcoPhoto by Markus Spiske.

Lei percepisce l’urgenza abbandonando subito i giochi, mi prende per mano ed iniziamo a camminare.

Fino ad incontrare il papà di una sua compagna di asilo. Lui si ferma, le fa l’occhiolino e la saluta: “Ciao piccola!”.

La sua reazione è quella di stringersi alla mia gamba non guardandolo e non parlando.

E mi torna alla mente il fatto che questo suo modo di fare si ripropone molto spesso, quando qualcuno la saluta.

Perché questo comportamento?

Sulla strada di casa, che fortunatamente è breve e percorriamo a piedi, torno sull’argomento.

Mia figlia è in braccio e le chiedo: “Come mai non saluti le persone, quando loro salutano te?”

Dopo qualche resistenza iniziale, la risposta che esce dalla sua bocca mi fa riflettere.

La parola è una sola ed è: “… timida…”.

I bambini sono davvero timidi?

Sulle prime questa risposta può sembrare sensata. Sei timida, ok. Ci sta.

Ma ad una lettura più profonda, in realtà, capisco che è tutto sbagliato.
I bambini non sanno cosa sia la timidezza.

Nascono e il mondo, per loro, è una tela bianca da decorare giorno dopo giorno, passo dopo passo.

Scoprendo, sperimentando e stando a guardare.

A chi è dovuta questa situazione, quindi?

Da qualcuno dovrà aver ben imparato cosa significa “timidezza”, dato che la ha usata in un contesto perfetto.

Allora mi tornano alla mente molte situazioni passate dove, a fronte di un saluto non corrisposto, io o mia moglie abbiamo liquidato il tutto con: “fa la timida” oppure “è un po’ timida”.

E i pezzi del puzzle cominciano ad andare al loro posto.

Non è lei ad essere timida, siamo noi ad averla etichettata come tale.

E di conseguenza si è adattata facendo suo questo comportamento.

Magari la prima volta che non ha risposto ad un saluto era solo perché stava pensando ad altro e stava vagando con la mente verso lidi sconosciuti.

Io però, per evitare l’imbarazzo sociale del silenzio, ho preso l’iniziativa con la frase “eh, è timida”.

Ed è stato l’inizio della trasformazione. Ne parlo anche in un episodio del mio podcast.

“Allora sono timida!”

Mettiamoci ora nei suoi panni. Non salutiamo e il comportamento viene definito timido.

L’associazione di idee è presto fatta: “Ah, allora sono timida! Ok, non saluto più nessuno. Perchè, diciamocelo… sono timida!”.

E questa convinzione, rafforzata nel tempo dalle mie errate azioni giustificative, è diventata parte di lei.

Fortunatamente sono riuscito a prendere per tempo questa trasformazione e correre ai ripari, invertendo la tendenza.

Il fatto di non essermene reso conto finora, però, mi spinge ad essere ancora più attento alle mie azioni. Mi fa capire l’importanza che le nostre parole, e soprattutto le nostre azioni, hanno nei confronti dei figli.

Etichette e stereotipi - Bambini che fanno i compiti a scuolaOccasioni per beccarci etichette e stereotipi superficiali ne abbiamo in abbondanza. Foto di CDC.

L’effetto delle etichette e degli stereotipi

Cosa sarebbe successo se non mi fossi accorto di quello che stava succedendo, portando avanti questi comportamenti per molti altri anni?

Forse nulla di grave.

Forse una ragazzina più timida del dovuto che col tempo avrebbe fatto emergere la sua vera natura.

Questa situazione dunque non mi preoccupa eccessivamente in se, ma mi fa capire, come già detto, quanta responsabilità abbiamo nei confronti dei nostri figli.

E magari neanche ce ne accorgiamo.

Abbiamo appena detto, poi, che un’etichetta, come quella della timidezza, può essere staccata crescendo.

Ma se le etichette iniziano a diventare 5? 10? 100?

Il peso da sopportare diventa troppo grande e il lavoro da fare per far emergere il nostro vero io può durare una vita.

Per quello ritengo importantissimo riflettere su ogni singolo evento nel quale io e mia moglie possiamo avere un impatto su nostra figlia.

Ovviamente non siamo perfetti e col tempo qualche nostra debolezza la trasferiremo a lei.

Quello che faccio io è, ogni tanto, cercare di vedere con occhi più obiettivi possibili quello che stiamo facendo.

Per quanto ne so è la strada migliore, o almeno l’unica che conosco, per prendere per tempo eventuali nostri comportamenti che influenzano negativamente i figli.

Etichette e stereotipi sono la normalità

Dopo aver letto questo articolo, un pensiero può passarti per la testa. Ovvero: “mi sembrano pensieri inutili. Tutti siamo cresciuti e siamo persone normali”.

Certo, ci sta assolutamente. Sono convinto anch’io che col tempo i bambini trovino il loro equilibrio tra quello che sono realmente e quello che il mondo dice che loro siano.

Ciò non toglie che da genitore, io abbia la voglia e gli strumenti per cercare di rendere più “facile” possibile la crescita di mia figlia.

Questo articolo può essere uno strumento. Uno strumento che voglio condividere con gli altri genitori che magari sulle prime può passare inosservato o risultare inutile.

Ma come tutti gli strumenti che abbiamo a casa, prima o poi troverà un suo utilizzo.

Abbiamo una chiave inglese inutilizzata da 20 anni nel cassetto e di punto in bianco scopriamo essere l’unico oggetto che ci può aiutare a smontare il lavandino.

Sono certo che prima o poi questo articolo, nel percorso della tua vita, troverà uno scopo. O magari non nella tua vita ma ti servirà per dare un consiglio o un supporto a qualcun altro. O anche solo capire.

Etichette e stereotipi sono ovunque

Fin qui ho solo parlato di genitorialità e figli per un semplice motivo: l’impatto che possiamo avere è molto superiore rispetto a quello che possiamo avere verso degli adulti.

Più cresciamo e più radichiamo in noi determinate convinzioni che diventano difficili da modificare, nel bene e nel male.

Questo atteggiamento del non etichettare le persone, però, può e deve assolutamente applicarsi a tutti i nostri rapporti umani.

La differenza che faremo sarà piccola, ma magari sarà la goccia fondamentale per smuovere qualcosa.

O magari no. Ma questo non è una scusa valida per comportarci in maniera superficiale nei confronti degli altri.

Etichette e stereotipi - Adulto con ombrello che protegge bambino dalla pioggiaFoto di J W.


Conclusione

Grazie Giacomo per il bel salto mentale.

  • Occhio alle etichette ed agli stereotipi, hanno un impatto subdolo su di noi.
  • Occhio ad appiccicarli alle altre persone, specie se più fragili.

Nessuno “è” l’insieme di etichette che ha appiccicato addosso, come un maglione non è l’etichetta che dice come lavarlo o il suo prezzo. Siamo tutt’altro, unici e sfaccettati.

Vi ricordo i contatti di Giacomo:

Mi ha promesso che resterà in zona per rispondere ai vostri commenti, mettetelo alla prova.

Intanto ne approfitto per aggiungere qualche approfondimento.

Approfondimenti

  • Il tema delle etichette e della natura profonda dell’io è affrontato in modo brillante da De Mello nel libro Messaggio per un’aquila che si crede un pollo. Quante volte ve l’ho consigliato, ormai!
  • Il condizionamento culturale è una grande fonte di etichette che poi facciamo fatica a staccarci di dosso. Ricordiamo che la mappa non è il territorio e che i giudizi morali dipendono dal contesto sociale e non sono universali. Le etichette, poi, ci portano a commettere scorrettezze quali il doppio standard.
  • Le etichette peggiori sono quelle che comportano una mentalità statica, immutabile. L’etichetta Intelligente, ad esempio, è un tratto considerato genetico, innato. Ci si condanna a dimostrare di esserlo in ogni occasione, non si può diventarlo. Le etichette dinamiche sono meno dannose, a volte anche salutari. Carol Dweck ha fatto del tema una parte importante della sua carriera e ne parla in Mindset, il suo bestseller. Qui in lingua originale.

    Copertina di Angèle Kamp.

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