La sindrome dell’impostore e come combatterla
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Spesso non rispettiamo le nostre fatiche come facciamo con quelle altrui, questo è il nocciolo della sindrome dell’impostore.

Anni fa conservavo ogni biglietto di auguri che ricevevo. Quale mostro senza cuore potrebbe buttare qualcosa creato con sforzo e denaro da un suo caro?

Andavo spesso a cena fuori, spendendo un centinaio di euro per un paio d’ore di relativa noia seguite da una nottata di digestione difficile.

Cosa c’entra con la sindrome dell’impostore? Semplice, è evidente che adottavo un doppio standard: da un lato davo grande valore ad una cartolina scritta da altri, dall’altro disprezzavo la fatica dell’intera giornata di lavoro che mi serviva per ottenere quei 100€ sperperati a cena.

Tanti di noi soffrono di quella che chiamano sindrome dell’impostore: sottovalutiamo il nostro contributo, pensiamo di non essere capaci né meritevoli e che i nostri successi siano frutto di fortuna o addirittura imbroglio.

Ecco qualche consiglio per affrontarla.

Nessuno è impostore poiché nessuno merita nulla

L’impostore non si ritiene meritevole, ma dobbiamo ricordare che siamo tutti sulla stessa barca. Ah, l’ipocrisia della meritocrazia!

Prendiamo l’amministratore delegato di una multinazionale. Secondo l’immaginario comune è una persona meritevole, che crea valore e contribuisce al benessere sociale. Almeno è ben pagato, qualcosa vorrà pur dire.

Dove sta il suo merito?

È fortunato ad essere vivo, di avere un corredo genetico adatto ai nostri tempi, di essere nato nella famiglia giusta e nel contesto sociale adatto a far sbocciare le sue abilità. È fortunato di aver ricevuto una educazione, di aver avuto le compagnie giuste, di aver scelto la carriera migliore e di essersi trovato più volte al posto giusto nel momento giusto.

Non togliamo nulla ai suoi sforzi, sono condizione necessaria ma non sufficiente al suo successo. Egli non sarebbe nella stessa posizione se fosse nato nell’Africa sub-sahariana da una famiglia di pastori analfabeti, né se avesse avuto un cromosoma in più né se si fosse innamorato follemente di una eroinomane negli anni ’90 e fosse partito con lei per un viaggio di non ritorno negli slum di Edimburgo per dedicarsi all’ammirare i treni che passano.

Immagine di copertina del film TrainspottingGià, Trainspotting, bravi. Dimostra solo che siete vecchi quanto me, niente meriti!

Nessuno qui merita granché quindi niente sensi di colpa. Se proprio siamo nel dubbio, possiamo dire “grazie“ un po’ più spesso che tanto male non fa.

Il valore non si misura in Euro

Non tutto il valore che crea una persona può essere convertito in denaro.

Pensiamo ad una mamma che allatta.

La mamma che allatta fornisce al figlio l’unico cibo ottimale per la sua crescita, include protezioni immunitarie e ne riduce malattie e mortalità. Getta le basi per una dieta sana e minimizza le allergie del bambino. Produce un cibo a chilometro zero, senza pesticidi, senza confezioni in plastica o cartone, senza trasporto su gomma, senza grande distribuzione, sempre alla temperatura giusta e sterilizzato alla perfezione. Coltiva una relazione fisica col figlio che, essendo un mammifero, ha reale bisogno di conforto tramite il contatto umano e può così crescere più sicuro e felice.

Non possiamo dare un valore economico a tutto ciò e quindi, come società, non lo diamo. Se la mamma che allatta credesse che il suo valore dipende da quanto guadagna, si sentirebbe in colpa verso la famiglia che la sostiene.

Quanto può essere assurda la sindrome dell’impostore!

Imparare a rispettare i propri sforzi

Come dicevo, io non rispetto allo stesso modo il mio sforzo e quello altrui, specie quando il denaro fa da intermediario.

Spendere 100€ in una cena fuori è rispettoso dei miei sforzi? Non è una domanda banale: da un lato devo considerare la fatica che faccio a guadagnare quei soldi, dall’altro la soddisfazione che può darmi la cena fuori.

Speso mi aiuta pensare allo sforzo che ho fatto per guadagnare quel denaro, come consigliato in La borsa o la vita.

Supponiamo che guadagno 2.000€ mensili, tolte le tasse, pensione e le spese che sostengo per lavorare. 100€ sono un’intera giornata di lavoro, con sveglia alle 6 e lo stress di treno e metropolitana inclusi. Con i vestiti da lavare e stirare per essere presentabile il giorno dopo. Con la testa che scoppia e la stanchezza e lo stress che mi rendono impossibile fare qualsiasi cosa di interessante una volta tornato a casa. Con l’impossibilità di vedere mia figlia perché parto che è a letto e torno che è a letto e neanche ricordo di che colore ha gli occhi finché non arriva il fine settimana.

Quei 100€ sono intrisi del mio sangue!

Col cavolo che li do a Cracco per mangiare un dannato piccione o ad Audi per una (parte di) marmitta cromata. Quei 100€ voglio che mi portino il più lontano possibile, che migliorino la mia indipendenza finanziaria.

Nella nostra società, consumare è anche una questione d’identità. Farlo con consapevolezza e coerenza, rispettando le fatiche che abbiamo sostenuto, aiuta a non sentirsi vuoti e cadere nella sindrome dell’impostore.

Magari non merito tutto quello che ho, ma almeno non lo sperpero senza rispetto.

Trovare il significato

Buona parte di noi dedica gran parte del proprio tempo al lavoro, che ci piaccia o meno, poiché abbiamo bisogno di lavorare. È normale, quindi, che lavoro ed identità si mischino, tanto che una delle prime domande quando due persone si conoscono è “cosa fai nella vita?”

Se il lavoro che facciamo serve solo a metterci dei soldi in tasca e non ci soddisfa allora rischiamo di sentirci vuoti. Dobbiamo fare un salto mentale e cambiare prospettiva.

Non intendo quelle cose da psicologia spiccia, tipo ripetersi una bugia spudorata mille volte e convincersi che vada tutto bene.

”Il mio lavoro di promotore di ottime offerte energetiche tramite apprezzate chiamate telefoniche arricchisce il mondo”.
— Balle

Illudersi non aiuta ma possiamo vedere le cose con una nuova prospettiva, mettendo l’accento dove conta, dove troviamo un significato profondo.

Ad esempio, il mio vero lavoro è provvedere alla mia famiglia. Il mio impegno da ingegnere è uno strumento per svolgerlo. Vederla in questo modo rende le mie fatiche piene di significato e coerenza e non mi sento affatto un impostore.

Altro esempio è quello di un giovane scrittore che, per sbarcare il lunario, si presta a scrivere schifezze false per un qualche giornale online. Il suo vero lavoro è diventare romanziere, quello che fa oggi serve solo a raccogliere risorse ed esperienza per creare le sue opere.

Certo poi dovrà darsi da fare per diventare davvero un romanziere, così come io dovrò comportarmi al meglio con la mia famiglia per essere un buon padre.

Come combattere la sindrome dell’impostore

Possiamo combattere la sindrome dell’impostore con 4 semplici armi:

  • Essere consapevoli che nessuno merita granché;
  • Capire che il valore non si misura in denaro;
  • Rispettare i propri sforzi spendendo bene il nostro tempo e denaro;
  • Trovare un significato profondo per quello che facciamo.

In generale, più coerenza riusciamo ad iniettare nelle nostre vite e meno ci sentiremo impostori.

Copertina di <a href="https://unsplash.com/@matthewhenry?utm_source=unsplash&utm_medium=referral&utm_content=creditCopyText">Matthew Henry</a>.